Ok, lo sappiamo (quasi) tutti, con il termine digital transformation si indica un insieme di cambiamenti prevalentemente tecnologici, culturali, organizzativi, sociali, creativi e manageriali. (copio pari pari da Wikipedia)
Il processo di trasformazione digitale nelle organizzazioni non profit non si limita all’utilizzo degli strumenti e dei dati che la tecnologia ci offre, questo percorso è soprattutto l’introduzione di sistemi e regole nuove che cambiano completamente l’approccio di organizzazione, comunicazione e metodo.
La richiesta dei donatori è sempre più orientata sull’aumento di trasparenza, condivisione e inclusione nei progetti delle ONP.
Online, agendo in modo combinato si creano pervasivamente nuove connessioni tra le persone, che poi è il fulcro di tutto. Il comportamento dei donatori si evolve, l’aumento della componente digital nelle relazioni condiziona anche le modalità stesse di fare fundraising. E tutto questo è possibile, grazie ai dati.
L’utilizzo dei dati permette di migliorare la raccolta fondi
Con l’utilizzo di questi ultimi si possono automatizzare i processi di Fundraising e nel prossimo futuro l’utilizzo dei sistemi di intelligenza artificiale permetterà a molte campagne di raccolte fondi (applicando algoritmi che apprendono autonomamente) di impostare il messaggio più consono per stimolare la donazione nel target a cui ci rivolgeremo. Cresce quindi l’esigenza di competenza strategica e professionalità.
Vedi anche: Competenze di un Digital Fundraiser
Grazie all’innovazione le organizzazioni non profit potranno crescere e risolvere il problema principale, quello della sostenibilità.
In tutto questo, l’automazione deve essere vista come driver d’innovazione e crescita in ogni aspetto del fundraising, questa può e deve portare alla personalizzazione del contenuto e deve essere progettata per inserire il prospect/sostenitore nel giusto ciclo di donazione. Con i modelli predittivi poi, aumenteremo la possibilità di crescità del ROI fornendo al contempo dati personalizzati e contenuti rilevanti ai donatori, aumentando in ultima analisi anche le conversioni.
Oggi le persone si aspettano delle risposte immediate e attraverso i sistemi di automazione dovremmo essere in grado di costruire profili di donatori più completi attraverso l’acquisizione di dati variabili durante i diversi touchpoint di comunicazione.
L’automazione però non gestisce problemi complessi e a più livelli e non crea una connessione emotiva.
Il valore aggiunto dell’elemento umano per costruire fiducia sarà però (sempre) il perno che farà girare l’ingranaggio. Ci dovremo concentrare maggiormente sulle idee e sulle storie che creano fiducia e momenti memorabili focalizzandoci sulle persone invece che sulle campagne basate su canali e/o piattaforme.
Fundraising Transformation non significa passare il 100% al digitale cambiando radicalmente la propria metodologia. Quello che serve è definire una visione e un’agenda in cui le ONP dovrebbero esplorare il percepito dei donatori e il livello di coinvolgimento degli stakeholder iniziando così a comprendere cosa e come cambiare.
La donor experience è il nuovo campo di battaglia, le persone, i donatori, vogliono vivere un’esperienza più appagante, ma non stiamo parlando di innovazioni. La tecnologia deve essere un catalizzatore su cui far leva per creare valore nei sostenitori offrendo loro un’esperienza più coinvolgente.
Per il fundraising questi sono tempi esaltanti e spaventosi
Concludo condividendo questo pensiero: ho scritto di innovazione, di automazione e di tecnologie algoritmiche predittive, queste componenti saranno di sicuro sempre più importanti nell’implementazione di una raccolta fondi “professionale” ma credo che il punto chiave del fundraising resterà sempre incentrato su tutto ciò che non si potrà mai automatizzare come la creatività, l’empatia e la passione.
Spunti e approfondimenti: Wikipedia, Vita, Alessio Semoli, TED, Forbes, Pardot